Categoria: Terre alte

Fatti e riflessioni dalle Dolomiti bellunesi e dalle zone confinanti

Ponte nelle Alpi, il Comune dice «basta centrali idroelettriche»Ponte nelle Alpi, il Comune dice «basta centrali idroelettriche»



[riceviamo dal Comune di Ponte nelle Alpi e volentieri pubblichiamo]

A differenza di quanto accaduto a Belluno, il sopralluogo, da parte dei tecnici della Regione relativo alla richiesta di concessione per la progettata centralina sulla Piave, in località Santa Caterina di Ponte nelle Alpi, si farà il giorno 19 novembre. Il sopralluogo è un obbligo di legge, ma per quanto ci riguarda l’incontro durerà pochi minuti.

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Zanoni: idroelettrico, regime di illegittimitàZanoni: idroelettrico, regime di illegittimità



[Sull’emergenza dell’assalto idroelettrico ai corsi d’acqua bellunesi riceviamo una nota del consigliere regionale in Veneto Andrea Zanoni, che volentieri pubblichiamo]

«Sulle autorizzazioni di centraline idroelettiche in Veneto siamo al caos totale e, di fatto, in un regime di illegittimità. Vige infatti ancora uno stato di deroga che consente di autorizzarle senza valutazione di impatto ambientale, contravvenendo così alle normative UE.

Inoltre per i sindaci e i cittadini del territorio la misura è colma: non sopportano più questo saccheggio del territorio e chiedono di essere presenti ai sopralluoghi, cosa che al momento pare si tenti di negare, anche con le maniere forti”: la denuncia è del consigliere regionale del PD e vice presidente della commissione Ambiente, Andrea Zanoni che sulla questione ha presentato oggi un’interrogazione alla Giunta.
“Le lacune in questo settore sono enormi – prosegue l’esponente del Pd – e vanno dal fatto che i corsi d’acqua non sono classificati, e quindi si rilasciano autorizzazioni senza riuscire a valutare l’eventuale deterioramento della qualità del corso d’acqua, fino al problema dei mancati collaudi degli impianti in esercizio. Senza contare che non esiste un censimento aggiornato di tutte le richieste in itinere con la conseguenza che non si tiene conto di più impianti nello stesso corso d’acqua e del conseguente grave effetto cumulativo”.
Inoltre, secondo l’esponente democratico “deve ancora essere chiarito a chi competono i controlli e non si è provveduto con alcun atto di Giunta a vietare le centraline nelle aree di pregio e tutela, come invece hanno attuato altre regioni alpine. Tutto questo alla vigilia di una scadenza perentoria: entro il 31 dicembre 2015 infatti i corpi idrici degli stati membri della UE, devono pervenire ‘in buono stato di conservazione e che lo stesso non si deteriori’.
Andrea Zanoni mette quindi in rilievo che “la pubblica utilità di questi impianti non esiste, visto che dai dati del Gestore dei Servizi Energetici risulta che i 2000 impianti-centraline idroelettriche esistenti in Italia producono meno di 2 millesimi della energia complessiva che consumiamo in un anno e che gli altri 2000 in istruttoria potranno soltanto raddoppiare questa percentuale”.
Infine richiama la Giunta al tema del diritto dei cittadini di prendere parte ai sopralluoghi: “lo sportello unico del Demanio Idrico dovrebbe fare dei sopralluoghi ed incontri aperti al pubblico sulla base di quanto l’ex regio decreto 1775 del 1933, ancora in vigore, stabilisce, ovvero che tutti i cittadini possono osservare e dire la propria. Il Prefetto invece pare voglia fare intervenire le forze dell’ordine ai prossimi sopralluoghi previsti nel bellunese, giovedì prossimo a Ponte della Vittoria e per giovedì 19 novembre a Ponte nelle Alpi. Ancor più in questo clima caotico è doveroso – conclude Zanoni – garantire pieni diritti ai cittadini».

Pesticidi, api e diottriePesticidi, api e diottrie



[riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento dalla campagna “Liberi dai veleni”, che il 30 ottobre promuove un altro incontro, questa volta a Lentiai]

Lettera aperta rivolta alla Pro loco di Limana dai gruppi aderenti alla campagna “Liberi dai veleni”

Si è da poco concluso l’appuntamento annuale con “Limana paese del miele”, organizzato dalla Pro Loco del comune, evento quantomai importante in un territorio che sta vivendo la progressiva difficoltà di conciliare la vocazione per la produzione del miele e l’insediamento di attività agricole intensive basate sull’uso di pesticidi. L’utilizzo di questi prodotti mette infatti in serio pericolo la vita delle api (e di conseguenza la sussistenza delle aziende collegate) causandone la morte.

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“Liberi dai veleni” verso 2.000 firme“Liberi dai veleni” verso 2.000 firme



Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo comunicato della campagna “Liberi dai veleni”.

In un solo mese dalla partenza della campagna “Liberi dai veleni” siamo già riusciti a superare le millecinquecento firme e voliamo verso le duemila. Un dato importante, che dimostra come i cittadini bellunesi siano attenti e pronti ad attivarsi rispetto a tematiche che coinvolgono la tutela della salute oltre che del territorio e del paesaggio.

Sempre più cittadini e portatori di interesse manifestano la volontà di partecipare attivamente alla campagna di sensibilizzazione; sostengono la petizione anche: Coltivare Condividendo; Gruppo Natura Lentiai; Comitato Bellunese Acqua Bene Comune; Movimento Terra Bellunese; Associazione Dolomiti Bio; La Comune Bellunese; Ass. Casa dei Beni Comuni; Cooperativa Samarcanda onlus; AIAB Veneto; G.a.s. el Ceston; G.a.s. la Madia Feltrina; G.a.s. Grillibelluno; G.a.s. mammabimbi; Amici della Bicicletta; Gruppo organizzatore della Camminacoigufi di Cesiomaggiore; Wwf.

Le oltre millecinquecento firme raccolte in così breve tempo esprimono la preoccupazione dei cittadini nei confronti dell’ennesima forma di colonizzazione delle terre bellunesi, in questo caso da parte di coloro che vogliono impiantare nella nostra provincia coltivazioni intensive di uva, in particolare prosecco, e mele. Una preoccupazione che nasce dai rischi per la salute (come ampio uso di trattamenti chimici dannosi per l’uomo e le specie animali) e ambientali (radicali modifiche del paesaggio in termini di sbancamenti di suolo e omologazione delle colture) correlati a un’agricoltura intensiva orientata esclusivamente alla produttività, senza tenere in considerazione le specificità locali. Con la loro firma i bellunesi esprimono la consapevolezza della ricchezza del proprio territorio in termini di biodiversità e paesaggio, e la volontà di tutelarli e valorizzarli. C’è inoltre un dato sorprendente: aderiscono alla petizione tanti cittadini non residenti che hanno a cuore il futuro della provincia. Questo ci sostiene nel pensare che la strada maestra per promuovere il nostro territorio sia l’attenzione al suo valore ambientale. Ad avvalorare maggiormente campagna e petizione anche le importanti firme di alcuni amministratori locali, come i Sindaci di Calalzo e Soverzene.

Per coloro che volessero sostenere la campagna contro questa forma di colonizzazione e in favore di politiche agricole che incentivino un’agricoltura sana e sostenibile nel rispetto della biodiversità e delle tipicità bellunesi, la petizione pubblica “Liberi dai Veleni, io ci metto la firma” è disponibile nei seguenti punti:

Tutti i punti vendita della Cooperativa Samarcanda (Belluno, Pieve di Cadore, Feltre, Santa Giustina);

Un punto macrobiotico a Belluno in via Barozzi;

Ferderconsumatori presso sede CGIL di Belluno;

Bar cooperativa a Cirvoi;

Bar Roma a Puos d’Alpago;

Bottega Bio a Tai di Cadore;

Bar Fabian a San Pietro di Cadore;

Negozio Ariele a Belluno;

Negozio Bio Brothers a Feltre;

Libreria Agorà, Feltre

Il vivaio il Ruscello a Seren del Grappa;

La libreria 4 sassi a Rasai;

Farmacia Zampol d’Ortia a Lentiai;

Negozio Il Tronchetto Naturale a Belluno;

Negozio Voulez Vous a Sedico;

Azienda agricola di Enrica Balzan a Campo di Mel.

È inoltre possibile sottoscrivere la petizione on-line al seguente indirizzo:

https://www.change.org/p/liberi-dai-veleni

Prossimi appuntamenti per approfondire i temi della campagna e firmare la petizione

Massacro nazifascista sul GrappaMassacro nazifascista sul Grappa

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Il massacro nazifascista del monte Grappa colpì per una settimana, dal 21 settembre 1944, le località nella zona del massiccio, a cavallo fra le province di Belluno, Vicenza e Treviso.
Non fu un’operazione di guerra, perché nazisti (comprese le milizie trentine e sudtirolesi arruolate nell’Alpenvorland) e fascisti repubblichini, forti di almeno 8 mila soldati e supportati anche da armi pesanti e mezzi blindati, sgominarono nel giro di 24 ore o poco più l’opposizione delle formazioni partigiane scarsamente armate.

Nei giorni successivi attuarono invece scientemente quello che si dimostrò essere un vero e proprio massacro pianificato, contro giovani partigiani ormai inermi e contro la popolazione civile.
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I sereni aguzzini dei partigianiI sereni aguzzini dei partigiani



[pubblicato sul quotidiano l’Adige di Trento il 31 agosto 2010]

Mario Pasi moriva in un freddo pomeriggio di marzo sulle colline sopra Belluno. Dall’alto dei monti che cingono a nord la città dolomitica, i suoi compagni partigiani potevano osservare i corpi penzolanti del comandante Alberto Montagna – il nome di battaglia di Pasi – e di altri nove giovani. Era una delle innumerevoli rappresaglie naziste, in una provincia che viveva una resistenza particolarmente attiva e radicata. Quello stesso 10 marzo 1945, mentre al Bosco delle castagne impiccavano Pasi e compagni, sul versante opposto della Valbelluna, a sud della città, venivano massacrati sulle colline altri otto partigiani fra i quali i quattro fratelli Schiocchet.

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Idroelettrico, il paradiso incentiviIdroelettrico, il paradiso incentivi

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Da tempo in provincia di Belluno è in corso una diffusa  lotta popolare per contrastare la crescente cementificazione dei corsi d’acqua.

Il movimento per l’acqua chiede una moratoria sulle quasi 200 domande per nuove centraline alle quali le autorità regionali – come sempre – sarebbero pronte a dare l’Ok allettando con briciole di canone gli enti locali finanziariamente ridotti allo stremo. Una battaglia che ora diventa nazionale, grazie all’appello per la difesa dei fiumi lanciato da Legambiente, Wwf Italia, Mountain Wilderness Italia, Federazione pesca sportiva, Cai, Forum italiano dei movimenti per l’acqua, Comitato bellunese acqua bene comune e sottoscritto via via da una miriade di realtà organizzate.
Emblematica è la vicenda della selvaggia valle del Mis che collega la Valbelluna e l’Agordino. Qui, in località ponte Titele, all’improvviso, l’alveo del torrente Mis è offeso da colate di cemento armato, ciò che rimane (tutto da risanare) del cantiere di una centrale idroelettrica avviato nel marzo 2012, su autorizzazione della Regione Veneto, dalla società bresciana Valsabbia Spa.

Il progetto, approvato dalle autorità regionali malgrado toccasse un’area protetta, è stato bloccato definitivamente da una sentenza della Corte di cassazione. Un risultato frutto della vasta mobilitazione popolare che oggi prosegue, a suon di marce e ricorsi legali, per difendere quel dieci per cento di acque bellunesi non ancora oggetto di sfruttamento idroelettrico.

Nel caso specifico, peraltro, ancora nessuno si è occupato del ripristino ambientale: né l’impresa né gli enti pubblici. L’alveo del Mis resta pesantemente cementificato il comitato bellunese acqua bene comune chiedono con insistenza che si intervenga ma la beffa è che il mese scorso a subire una condanna da un Tribunale, unico soggetto colpito dalla «giustizia» a fronte dell’apertura di un’opera stoppata dalla Cassazione, è stato un atttivista del movimento, perché nel corso di una manifestazione per il ripristino ambientale (nel novembre 2013) entrò nell’ex cantiere malgrado il questore avesse vietato l’accesso.

Oltretutto, ora, nella stessa zona incombe un altro progetto, contestato anche dal Comune (siamo nel territorio di Gosaldo) ma che potrebbe trovare il via libera in Regione Veneto.
Ormai da anni nel Bellunese è tutto un rincorrere progetti per sfruttare i tratti residui dei corsi d’acqua non ancora interessati (il 90% dei torrenti è già sfruttato per l’idroelettrico).

Le richieste di derivazioni fioccano, spesso firmate da società venute da fuori, per godere negli anni del reddito garantito dagli incentivi statali oppure con intenti doppiamente speculativi (ottenere la concessioni e poi cedere il redditizio impianto al miglior offerente). L’idroelettrico è assimilato dalla legislazione alle energie rinnovabili, malgrado il suo pesante impatto ambientale e sociale. Perciò, viene sostenuto tramite un generoso sistema di incentivi pubblici finanziati mediante il prelievo nelle bollette degli italiani.

Ma equiparare una colata di cemento nell’alveo di un torrente a dei pannelli solari sul tetto di un edificio appare francamente grottesco.

Si rileva, fra l’altro, che questro proliferare di impianti idroelettrici, a fronte di un pesante impatto ambientale complessivo con danni sia all’exosistema fluviale sia all’economia locale, ha uno peso assolutamente marginale nella produzione energetica nazionale: si potrebbe ottenere molto di più rendendo più efficienti le grandi centrali storiche.

A Belluno si denuncia una forma di colonizzazione della montagna, che depauperando fiumi e torrenti viola la natura e danneggia anche il turismo (un altro fronte polemico è il rifornimento irriguo alle colture della pianura veneta).

Così la difesa dell’acqua diventa anche un emblema della battaglia trasversale per l’autonomia amministrativa di una provincia dolomitica che rifiuta il ruolo di terra di conquista e chiede strumenti politici per favorire la vita in ambito montano. E siamo nelle vallate travolte dall’orrore del Vajont: duemila vittime del rapace business idroelettrico, cinquant’anni fa, il 9 ottobre 1963.

Di seguito un comunicato stampa diffuso qualche giorno fa dal Comitato bellunese acqua bene comune e da Peraltrestrade Dolomiti.

La nota riguarda un altro caso discusso, questa volta nell’area orientale del Bellunese, ma contiene alcuni dati interessanti su dimensioni e caratteristiche dell’intero capitolo idroelettrico sulle Alpi.

«Il 22 gennaio – si legge nel documento – ha avuto luogo a Lozzo di Cadore il sopralluogo per un nuovo impianto idroelettrico sul Rio Rin, committente la società Lumiei Impianti srl di Sauris (Udine la stessa che ha già costruito un impianto sul torrente Piova in territorio di Vigo.
Il tratto che si vuole derivare si trova immediatamente a monte dell’attuale impianto Baldovin e avrà una lunghezza di quasi tre chilometri.

Preleverà una portata massima di 220 litri/secondo lasciando in alveo un deflusso minimo vitale da 20 a 28 l/s.

L’investimento sarà di 1.400.000 euro per un ricavo annuo stimato di 438.000 euro, a fronte di circa 19.000 euro di canoni e sovracanoni idrici da versare alla Provincia (10.000), al Bim (7.000) e al Comune di Lozzo (meno di 2.000 euro).

Due terzi del ricavo proverranno dagli incentivi governativi – garantiti e a fondo perduto – pagati dal contribuente italiano (in particolare normali cittadini, artigiani e piccole imprese) con la bolletta della luce. All’incontro erano presenti rappresentanti della ditta proponente, di Arpav, della Regione, del Genio civile, del Comune e del comitato Acqua bene comune Belluno.
Invitata ma non presente – non lo è praticamente mai – la Soprintendenza ai Beni Ambientali. Assenti i cittadini di Lozzo.

Tutto si è svolto come da prassi consolidata: incontro in municipio, illustrazione del progetto, sopralluogo sui posti della presa e del rilascio nella bella Valle dei Mulini; poi di nuovo in municipio per le osservazioni e la redazione del verbale. Se questo impianto verrà realizzato andrà ad aggiungersi a tutti quelli già costruiti in Provincia di Belluno e a 150 nuovi impianti mini-idro attualmente autorizzati o in istruttoria, a meno che non venga colta la richiesta di moratoria avanzata attraverso un Appello nazionale per la salvaguardia dei corsi d’acqua dall’eccesso di sfruttamento idroelettrico dalle maggiori associazioni nazionali, regionali e locali che si occupano di fiumi e di ambiente, Cai centrale incluso.

In assenza di una moratoria, una volta chiuso questo ciclo, per ammirare un torrente naturale che scende spumeggiante tra muschi e salti di roccia si dovrà sfogliare una rivista patinata o ripescare qualche vecchio filmato pubblicitario sulle Dolomiti, perché sul territorio non ce ne saranno praticamente più.
Bisogna agire ora, se non si vuole rischiare di rendersi conto troppo tardi di quanto il nostro territorio sia stato impoverito, in cambio di nulla o di poche briciole, a fronte di un contributo energetico riconosciuto e documentato come scarsamente significativo. Nessuno può tirarsi fuori, a cominciare da chi ci amministra, a tutti i livelli. Nessuno può affermare che non ha visto, o che non sa».

Belluno autonoma, ecco chi dice noBelluno autonoma, ecco chi dice no



«L’emendamento era semplice e giusto ma l’hanno respinto. Il risultato del voto pur tra mille ragioni e distinguo dice con chiarezze chi è a favore dell’autonomia e che invece in Parlamento non lavora per il Veneto e per Belluno ma serve un altro padrone. Dice anche che in alcuni partiti la discussione sulle autonomie è giunta a una decisione unanime, in altri ognuno fa quel che gli pare. Gli interessi delle comunità sembrano assai lontani dall’aula della Camera dove, forse, arriva qualche eco lontana delle reali necessità che il governo locale ha».

È il commento severo del movimento autonomista bellunese Bard, dopo la bocciatura, nell’aula di Montecitorio, di una norma che attribuiva una forma speciale di autonomia istituzionale alle province a statuto ordinario interamente montane, cioè in particolare a Belluno e a Sondrio.

La previsione era contenuta in un emendamento proposto come primo firmatario dall’ex presidente trentino e oggi deputato Lorenzo Dellai (Per l’Italia – Democrazia solidale), affiancato dal collega di gruppo Gian Luigi Gigli e da Simonetta Rubinato (minoranza Pd), nell’ambito della discussione del disegno di legge costituzionale sul superamento del bicameralismo paritario e la revisione del titolo V (autonomie locali).

«Nel corso della discussione relativa all’art. 30, che si riferisce

alla modifica da apportare all’art 117 della Costituzione,

è stata presentata una proposta di emendamento che recitava:

 “Possono essere altresì attribuite con legge costituzionale

ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia

ai territori di area vasta interamente montani confinanti con Stati stranieri”.

Il riferimento evidente è alla provincia di Belluno, infatti, il deputato Gigli, eletto in Friuli, ha affermato, nel corso del suo intervento ha commentato: “Abbiamo presentato questo emendamento sulla montagna con riferimento a una particolare montagna, la montagna del bellunese. Quest’aula nei mesi scorsi si è più volte occupata dei problemi della montagna garantendo ogni volta particolari forme di tutela e sostegno anche nell’interesse più generale del Paese. Oggi noi siamo qui a ricordare che è certamente ancor più difficile amministrare le zone di montagna quando hanno accanto due regioni a statuto speciale ed hanno un confine con un altro Stato. È per questo che vorremmo fosse accolto da tutti, se non è stato possibile accogliere gli emendamenti a favore della regione Veneto, almeno il principio del riconoscimento della possibilità di sviluppare forme di autonomia particolare per le zone di area vasta interamente ricomprese da montagne che siano confinanti con regioni a statuto speciale e con Paesi esteri”», conclude il Bard.

Il Bard è andato anche a verificare come si sono espressi i vari gruppi e i singoli parlamentari, così da poter richiamare ognuno alle sue responsabilità: «Hanno votato sì in 102, no in 313. Hanno votato si 64 deputati del Movimento 5 stelle, 16 della Lega Nord, 5 di Forza Italia, 7 del Pd e 3 del gruppo Per l’Italia.
Tra i Deputati eletti in Veneto hanno votato si cinque della Lega Nord, otto del Movimento cinque stelle (due gli assenti), due del Pd (13 contrari, sei assenti e uno in missione), nessuno di Fi (due contrari, quattro assenti e uno in missione), tre di Scelta civica (uno in missione), nessuno di Sel (due contrari)».

Lorenzo Dellai, nei giorni scorsi, aveva a sua volta espresso un giudizio particolarmente critico sulla decisione del governo di non accogliere la riforma proposta: «Da convinti autonomisti e sostenitori delle zone montane – aveva detto – esprimiamo rammarico per il fatto che la maggioranza, di cui pure facciamo parte, non abbia saputo cogliere l’opportunità di permettere ai territori di area vasta interamente montani, come Belluno o Sondrio, di avere strumenti di autogoverno simili a quelli trentini e friulani».

Lo stesso ex presidente trentino, peraltro, ha anticipato che nelle prossime settimane tornerannoi all’ordine del giorno proposte ementative di simile tenore, per riprovare a sensibilizzare il Parlamento sulla necessità di dotare di strumenti di autogovenor anche le aree alpine che oggi ne sono sprovviste perché non godono di uno statuto speciale.

Blitz contro il boom di centraliBlitz contro il boom di centrali



Nel Feltrino un blitz dimostrativo dei «#FreeRivers» nel quale, come si legge in una nota, è stato «liberato» il torrente Stien, nella valle di San Martino, all’interno del Parco nazionale delle dolomiti bellunesi. Gli autori dell’incursione, in sostanza, hanno chiuso un’opera di presa di Enel Greeen Power, con il risultato – documentato dalle fotografie – che nell’alveo del torrente è tornata temporaneamente a scorrere l’acqua.

Si aggiunge così un nuovo tassello alla mobilitazione nel Bellunese contro nuovi progetti di centrali idroelettriche che cementificano i corsi d’acqua e sulle quali ora si chiede una moratoria totale rilevando fra l’altro che il proliferare di “piccoli” impianti ha un ritorno irrisorio dal punto di vista della produzione (si suggerisce, invece, di ammordernare le grandi centrali storiche).

L’azione sullo Stien si inserisce in un contesto che attorno al tema della tutela dei corsi d’acqua si sta facendo ad alta tensione, dopo anni di mobilitazioni popolari che hanno ottenuto qualche successo ma anche molte sconfitte, con la Regione Veneto sempre incline a rilasciare le autorizzazioni per lo sfruttamento idroelettrico (il business sta nei generosi incentivi statali che paghiamo tutti nella bolletta).

Ma in provincia di Belluno ormai, fa notare

il Comitato acqua bene comune, oltre il 90%

dei corsi d’acqua è interessato da interventi

di cementificazione a scopo idroelettrico.

Così come la valle del Mis, anche la bucolica valle di San Martino, nel mirino per un nuovo progetto di centrale, è diventata un simbolo della lotta contro quello che viene considerato un mero fenomeno speculativo, messo in atto da aziende private (in genere da fuori provincia), con un ritorno finanziario irrilevante per gli enti locali.

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Se l’Enel precisa che il suo impianto non ha subito danni, gli autori del blitz, un po’ alla stregua degli Anonimous del Web ma questa volta nella vita reale, hanno lasciato sul posto uno striscione hanno diffuso una nota di rivendicazione in cui fanno una serie di riflessioni sul rapporto fra patrimonio naturale, comunità locali della montagna e speculazione economica: «Un fiume – scrivono – lo si può intubare, lo si può deviare ma se si prova a sbarrarlo completamente tracima. Per quanto si provi a controllarlo, a costringerlo a reprimerlo, non si riuscirà mai a fermarlo completamente.
Continuerà a spingere, a spingere, a spingere, un fiume sa che deve spingere per arrivare al mare.

Come i fiumi, anche i movimenti sanno che devono spingere per vincere, per arrivare al mare.
Non bastano le “ragioni” della protesta. Se bastassero le “ragioni” non si prenderebbe nemmeno in considerazione l’ipotesi di costruire il tav in Val di Susa o di costruire altre centrali idroelettriche nel bellunese.

Il movimento bellunese per l’acqua bene comune ha prodotto tutto il necessario per dimostrare il furto legalizzato che sta alla base del business dell’idroelettrico nel bellunese. Ha dimostrato come questi oltre 130 nuovi impianti, che si vorrebbero realizzare nell’ultimo 10% di acqua rimasta libera di scorrere nel proprio alveo (il restante 90% è già artificilizzato), non hanno altro motivo di esistere se non quello di ingrassare i conti correnti di chi vorrebbe costruirle.

Il movimento ha dimostrato tutto questo con convegni, libri, incontri pubblici, studi e ricorsi, supportando queste “ragioni” con decine e decine di iniziative che hanno coinvolto complessivamente migliaia di cittadini bellunesi.

Eppure la Regione Veneto di Luca Zaia continua ad autorizzare nuovi impanti.

Evidentemente bisogna, come i fiumi, continuare a spingere perché i beni comuni si difendono e si conquistano a spinta.

Per questo, oggi, alla repressione di Stato fatta di tribunali, giudici, galere, che sta colpendo chi lotta contro la devastazione ambientale e per i diritti sociali in questo paese, rispondiamo con un’iniziativa simbolica che parla di libertà.

È anche per tutti e tutte loro che oggi abbiamo deciso di liberare queste acque, chiudendo un’opera di presa dell’Enel sul torrente Stien, in valle di San Martino, all’interno del Parco nazionale delle dolomiti bellunesi».

Regionali, il Bard scende in campoRegionali, il Bard scende in campo



[riceviamo e volentieri pubblichiamo questo comunicato]

«Il movimento Belluno Autonoma Regione Dolomiti – BARD, viste le persistenti difficoltà a convincere i partiti nazionali bellunesi ad assumere posizioni politiche a tutela delle comunità dolomitiche, ha deciso di fare ogni tentativo possibile al fine di poter presentare una propria lista con un proprio candidato consigliere regionale alle prossime elezioni in Regione Veneto.
La legge elettorale regionale impone a ogni lista di raccogliere sottoscrizioni almeno in cinque province.

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Provincia, orizzonte nebulosoProvincia, orizzonte nebuloso

Belluno, veduta verso il monte Serva e il monte Schiara


Neanche il tempo di cominciare a riordinare le idee dopo la rinascita dell’ente provinciale, sia pure in verisone aleatoria e non elettiva, ed ecco che da Roma arriva un nuovo siluro. C’è grande preoccupazione per il destino della Provincia di Belluno, per gli effetti di quanto previsto nella legge di stabilità approvata venerdì notte con il voto di fiducia sul maxiemendamento governativo che incorpora l’intero testo della finanziaria. Sullo sfondo c’è la contestata riforma di questi enti appena entrata in vigore sulla base della cosiddetta legge Delrio.

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Documentario: veleni in TrentinoDocumentario: veleni in Trentino

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Andrea Tomasi e Jacopo Valenti.Anteprima mercoledì 17  dicembre,a Trento, al cinema Astra, alle 21, del documentario “Veleni in paradiso”, opera degli autori del libro “La farfalla avvelenata. Il Trentino che non ti aspetti”, Andrea Tomasi e Jacopo Valenti (intervistati anche a Voci dalle Dolomiti) che hanno indagato una serie di scandali legati all’inquinamento ambientale in valsugana e a Trento.

“Discariche di scorie industriali che rilasciano sostanze pericolose. Emissioni di diossine e microparticelle metalliche che si insidiano nel sangue e nei tessuti. Pesticidi in agricoltura. E i cittadini, organizzati nei comitati, costretti a fare tutto da soli, difendendo salute e ambiente, di fronte ad una politica spesso assente. Questo – e molto altro – è il documentario che racconta il lato nascosto del Trentino. Testimonianze dirette, rivelazioni di cittadini, medici ed esperti di nutrizione e contaminazione ambientale”, spiegano gli autori.

Aktre informazioni e aggiornamenti sulle prossime priezioni alla pagina Fb degli autori.