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Le foreste dolomitiche dopo la tempesta Vaia: il convegno (1)Le foreste dolomitiche dopo la tempesta Vaia: il convegno (1)



Ecco il podcast di Voci dalle Dolomiti andata in onda martedì 19 marzo a Radio Cooperativa. Sono state proposte alcune delle registrazioni di interventi svolti al convegno “La tempesta Vaia. Disastro o opportunità per le foreste del Nord-Est?”, organizzato a Belluno dalla fondazione Giovanni Angelini – Centro studi sulla montagna, che – come gli altri promotori – merita un caloroso ringraziamento per questa importante iniziativa. Fra gli altri organizzatori figurano il Comune di Belluno; il Dipartimento territorio e sistemi agroforestali (Tesaf) dell’Università degli studi di Padova; la fondazione Teatri delle Dolomiti e la Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale.

Questa è la prima parte degli interventi, la seconda è stata trasmessa la settimana dopo ed è disponibile qui.

“Il convegno dell’8 febbraio scorso – spiega la fondazione bellunese nel suo sito Web – è stata una vera occasione di confronto sulla tempesta Vaia, oltre che sul futuro incerto dei boschi e dell’economia forestale italiana.

Oltre a fare il punto sulle stime dei danni provocati da VAIA, con riflessioni su paesaggio e valori naturalistici dopo la tempesta e considerazioni sui sistemi di utilizzazione del legname danneggiato, si è parlato di pianificazione forestale e analisi dei rischi, di strategie di conservazione per la trasformazione tecnologica e di sfide dei cambiamenti climatici futuri per l’adattamento delle foreste colpite, anche con il proposito che Vaia possa diventare una vera lezione per una «distruzione creativa»”.

Nelle pagine online della fondazione Angelini sono disponibili i video di tutti gli interventi svolti al convegno, che si è tenuto al teatro Comunale.

Gli alberi abbattuti dal vento e il futuro dei boschi: ripartire con calma nel segno della biodiversità senza ripetere gli errori del passatoGli alberi abbattuti dal vento e il futuro dei boschi: ripartire con calma nel segno della biodiversità senza ripetere gli errori del passato



[riceviamo e volentieri pubblichiamo]

La tavola rotonda sul tema “Dopo le devastazioni, quale futuro dei nostri boschi” tenuta venerdì 7 dicembre a Pieve di Cadore dalle Associazioni firmatarie ha offerto vari spunti per la discussione che, da qui in futuro, si andrà sicuramente sviluppando.

Possiamo così riassumere le prime valutazioni cui sono giunti i relatori Michele Da Pozzo, Luigi Casanova e Cesare Lasen.

 –Di fronte a una bufera di carattere eccezionale con venti anche a200km/h neanche il bosco più “naturale” può resistere, ma è anche vero che le modalità di cura dell’uomo hanno in molti casi reso assai più vulnerabili i nostri boschi. Per motivazioni esclusivamente economiche si è incoraggiato in maniera assolutamente esagerata l’abete rosso, dalle radici superficiali, a scapito di altre specie, si sono così “costruiti” boschi monospecifici e con scarsa biodiversità, radi, con piante tutte della stessa età e conformazione, e pertanto fragili, non in grado di opporsi alla violenza del vento,che così trova facilmente varchi in cui insinuarsi .

–Quel che è successo deve essere occasione di serio ripensamento ed orientare per il futuro le scelte dei forestali, sempre più verso la selvicoltura naturalistica che tiene conto ed asseconda il naturale sviluppo del bosco senza eccessive forzature.

– No quindi a piantagioni generalizzate, ma sì anche alla naturale propagazione dei semi che la natura stessa sceglie meglio, forse, di quanto sappiamo fare noi.

– Dopo i tagli e dopo l’asporto dei tronchi abbattuti, vanno riposizionate le ceppaie rimaste rovesciate con tutta la zolla, al fine di creare dei punti di resistenza a frane e valanghe su versanti rimasti pericolosamente deserti.

–No soprattutto al recupero ad ogni costo dei tronchi: è assodato che incerte zone a rischio anche i tronchi caduti svolgono un’efficace azione di protezione contro frane e valanghe. Inoltre il recupero in versanti esposti, o comunque impervi, costringerebbe ad un gran numero di nuove opere, come piste e strade forestali e teleferiche, che oltre al costo, potrebbero di per sé contribuire negativamente alla stabilità dei versanti.

–Non affidarsi alla fretta e comunque all’emotività: gli alberi non sono “pericolosi”, non sono i nostri nemici, anzi, sono i nostri migliori alleati nella lotta contro i mutamenti climatici in quanto divorano CO2 e la immagazzinano sotto forma di legno. Questi eventi catastrofici hanno definitivamente dimostrato l’infondatezza del luogo comune degli ultimi anni per cui il “bosco che avanza” veniva ritenuto un danno.

–Conseguentemente e logicamente ci si aspetta che tutti i tagli già programmati vengano sospesi per un congruo numero di anni e che vadano rivisti, zona per zona, tutti i piani economici

–Alcuni interventi dal pubblico hanno evidenziato il pericolo di un più che discutibile proliferare di centrali a biomasse per il riscaldamento. Se il contrasto ai cambiamenti climatici diventerà uno degli impegni più urgenti dei governi su tutto il pianeta, bruciare grandi quantità di legno, con liberazione di CO2, polveri sottili e calore, sarebbe un’inaccettabile contraddizione. Finita la devastazione dei torrenti con le centraline idroelettriche, comincerà l’assalto ai contributi per le centrali a biomassa? Bruciare legna non è sempre una scelta ecologica.

–Cerchiamo di considerare quel che è successo anche come una opportunità: reinvestire e ritornare a lavorare il territorio in modo sciente e cosciente: non lasciamo i nostri boschi in mano ai boscaioli macedoni o ai mercanti austriaci!

Le Associazioni avvertono la necessità di una decisa azione di informazione e formazione diffuse, anche per capitalizzare le conoscenze che si stanno diffondendo sulla corretta gestione dei boschi. E quindi dopo questo primo incontro, dal quale uscirà uncontributo anche pratico alle scelte che Sindaci, Enti, Regole e Privati sono chiamati a fare, hanno in programma di affrontare alle radici le problematiche dei mutamenti climatici cercando di rispondere alle domande “Perché si è prodotto tutto questo? E “Siamo ancora in tempo a rimediare?” Interrogativi che saranno oggetto dei successivi incontri in programmazione nei primi mesi del prossimo anno.

13 dicembre 2018

Associazioni:

CIPRA Italia 						 
WWF O.A. Terre del Piave
Mountain Wilderness
Comitato Peraltrestrade Carnia-Cadore
LIBERA Nomi e Numeri contro le mafie Italia Nostra sezione di Belluno Ecoistituto Veneto “Alex Langer”
Gruppo Promotore Parco del Cadore


L’uragano sulle Dolomiti: il racconto di Franco Del Moro. La natura, la montagna, il rispetto, la paura e la distanza salottiera delle metropoliL’uragano sulle Dolomiti: il racconto di Franco Del Moro. La natura, la montagna, il rispetto, la paura e la distanza salottiera delle metropoli



Franco Del Moro, musicista, scrittore e editore (di libri e della storica rivista letteraria Ellin Selae) ha raccontato ai microfoni dell’emittente agordina Radiopiù ciò che ha vissuto nei giorni dell’uragano, dentro casa, a Rivamonte. Del Moro, che vive da circa un anno in provincia di Belluno, ci dona una riflessione vera e cruda di che cosa significa vivere in montagna e fare un’esperienza diretta con la forza della natura che si ribella.

Una riflessione sul nostro ruolo di esseri umani dentro la natura. Una riflessione sull’illusione di poter affidare le nostre vite alla tecnologia: più un bel giorno un vento a 200 all’ora spazza via tutto, tralicci elettrici compresi, e ci ritroviamo al lume di candela, senza collegamenti né virtuali né reali, con il solo calore delle stufe a legna (se ne possediamo almeno una).

Ma nelle remote metropoli in cui si decidono anche i destini delle comunità di montagna la drammaticità di tutto ciò è quasi sempre totalmente incompresa, se non addirittura declinata in forme neoromantiche che gridano vendetta… al cielo.
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Il maltempo devastante e la montagna diseredata (anche dai Tg)Il maltempo devastante e la montagna diseredata (anche dai Tg)



Stando a numerosi Tg nazionali trasmessi fra ieri e oggi, sono l’acqua alta a San Marco e gli yacht di Rapallo le immagini simbolo della catastrofe meteo abbattutasi tragicamente su alcune zone d’Italia.
L’impressione è che si fatichi veramente a mettere a fuoco l’idea che a finire veramente in ginocchio (tanto per cambiare) sono le zone di montagna, già largamente abbandonate dalle politiche nazionali (a eccezione di alcune aree con status autonomo e peraltro sempre più nel mirino del neocentralismo che avanza).
È deprimente che i Tg non si concentrino sul filo conduttore drammatico che unisce i territori alpini (per esempio il Bellunese e il Trentino, entrambi devastati da 48 ore in balìa dell’acqua e del vento), che l’informazione non offra all’opinione pubblica un quadro esauriente e unitario di un’emergenza da ricondurre alla più vasta questione montagna.
D’altra parte ricordo pochi anni fa, mentre si preparava la deleteria legge per semidistruggere le Province ordinarie, un ministro che accoglieva come ineluttabile e probabilmente auspicabile lo spopolamento dei paesini di montagna, così scomodi per chi ci vive e per chi deve assicurare loro un minimo vitale di servizi.
In questo Paese (e in Europa pure, salvo poche eccezioni fisiologiche tipo Svizzera e Austria) continua a mancare un discorso serio sullo stato e sulla sofferenza della montagna, sulla necessità di costruire fra l’altro sistemi istituzionali differenziati che consentano agli abitanti decisioni politiche e relativi finanziamenti per assicurare una vita dignitosa fra rocce aspre e strade a rischio.
Reputo, al contrario, altamente probabile che forze politiche di governo possano riproporci discorsi insensati come l’abolizione delle province (fondamentale snodo della democrazia territoriale, già colpito da una riforma folle) e la riduzione sic et simpliciter dei parlamentari (quindi della rappresentanza, naturalmente penalizzando le aree periferiche e meno popolose). La riduzione del numero di deputati e senatori potrebbe avere un senso, certo, ma solo nel quadro di una riforma federale che assicuri il massimo di autogoverno locale e un’articolazione reticolare delle istituzioni che, parallelamente al dimagrimento parlamentare, trasferisca poteri reali da Roma alle periferie.
Forse per vedere un barlume di una simile profondità di pensiero ci vorrebbe per i numerosi eletti metropolitani di governo e di opposizione un annetto di soggiorno montano nei paesi in quota, fra torrenti in piena, vento che soffia, alberi che cadono e viveri che scarseggiano, magari al freddo fra un blackout e l’altro e con le strade interrotte da frane e alluvioni.
Forse.