Autore: Zenone Sovilla

Resistenza e memoria, il partigiano Romo (1922-2015): “Dal primo momento contro fascisti e nazisti”Resistenza e memoria, il partigiano Romo (1922-2015): “Dal primo momento contro fascisti e nazisti”



Ecco la puntata del 18 e del 25 aprile 2023 andata in onda a Radio Cooperativa, in Fm e streaming.
È un’intervista registrata nove anni fa a casa di Egildo Moro, il partigiano “Romo”, classe 1922.

Fu parte del primo nucleo della Resistenza bellunese (quello sorto alla casera la Spàsema, sopra Lentiai nell’autunno 1943) al quale si unì nell’inverno, in val Mesaz, sopra Longarone, nella zona del Vajont.

Romo, scomparso il 28 febbraio 2015, era di Mestrino, vicino a Padova, ma poco dopo l’8 settembre 1943 si spostò in provincia di Belluno.

Addio a Fabio Galluccio, instancabile difensore della democraziaAddio a Fabio Galluccio, instancabile difensore della democrazia

Fabio Galluccio


La notizia della scomparsa di Fabio Galluccio mi ha colto impreparato. Non ci sentivamo da qualche anno, ognuno alle prese con una vita densa di impegni. Ma lo seguivo a distanza, ogni tanto ci siamo mandati un saluto. Era sempre lui, quel Fabio che mi scrisse un email nel gennaio o febbraio del 2000 perché aveva scoperto in Internet il sito da me appena lanciato, Nonluoghi, uno spazio per riflettere sulla crisi della rappresentanza democratica e sul ruolo depotenziato dei media per attivare circuiti di partecipazione critica.

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Autonomia bellunese, attenti a Venezia che rema contro. Il Bard: subito il ripristino delle elezioni per la ProvinciaAutonomia bellunese, attenti a Venezia che rema contro. Il Bard: subito il ripristino delle elezioni per la Provincia

Passo Valles, provincia di Belluno


La questione dell’autonomia della Provincia di Belluno si trascina da decenni, in un crescendo di impegno popolare che è passato anche attraverso numerosi referendum. Consultazioni che hanno riguardato la richiesta di molti comuni di trasferimento territoriale verso le vicine Province a statuto speciale di Trento o di Bolzano, nonché verso il Friuli autonomo (il caso di Sappada, unico referendum cui Roma ha dato seguito completando l’iter con il passaggio del paese alla provincia di Udine).
Ma i bellunesi sono stati chiamati a votare, nell’ottobre 2017, anche sul progetto di una propria autonomia provinciale e il voto ha registrato un’adesione pressoché generalizzata al disegno di autogoverno dolomitico.
Ai bellunesi, invece, qualche anno prima, la Corte di Cassazione aveva negato la possibilità di esprimersi sull’ipotesi di avviare un processo per trasferire la provincia dalla regione del Veneto al Trentino Alto Adige, come terzo polo autonomo di un ambito istituzionale interamente alpino.

Mentre a Belluno in molti si impegnavano alla ricerca di una strada percorribile per arrivare a un assetto istituzionale stabile e autonomo per questa terra di montagna a rischio spopolamento, a Roma e a Venezia si remava contro: con la legge, i fatti, i provvedimenti amministrativi, le disposizioni finanziarie.
Ciò che rimane, a oggi, sono le parole.
A volte nemmeno quelle, come quando il presidente leghista del Veneto, Luca Zaia, afferma – incurante di valicare i confini dell’arroganza istituzionale – che l’autonomia bellunese non può stare in piedi da sola ma ha bisogno della Regione che lui governo.
A questo ennesimo atto di alterigia dogale ha risposto per le rime il sociologo Bellunese Diego Cason, esponente del movimento Belluno autonoma Regione Dolomiti (Bard) in questo video che riassume bene le ragioni delle comunità dolomitiche e mette a nudo l’ostracismo sostanziale e perdurante di Venezia e di Roma:

C’è un fastidioso odore di malcelato spirito neocoloniale negli atteggiamenti supponenti e gerarchici delle autorità regionali nei riguardi delle nostre comunità, utilizzate come riserva idrica, cartolina pubblicitaria, parco giochi, passerella mediatica o vetrina internazionale per lo splendore lagunare (vedi le Olimpiadi a Cortina/Milano, incomprensibile sodalizio alpino-metropolitano presentato con ostentata vanagloria, come se quel territorio dolomitico fosse veneziano più che bellunese, senza peraltro ricordare che l’Ampezzano ha votato da tempo per passare al Sudtirolo).

C’è un fastidioso odore di malcelato spirito neocoloniale nelle reiterate scuse accampate da Venezia per non dare corso a quella forma di autonomia che, per quanto ridotta e denominata un po’ penosamente “specificità”, è pur prevista formalmente da anni, sia dal nuovo Statuto regionale sia dalle successive norme applicative.

C’è un fastidioso odore di malcelato spirito neocoloniale quando di fronte a una calamità come l’ondata di maltempo che ha devastato il Bellunese alla fine di ottobre, il governo veneziano accentra su di sé la regia della ricostruzione anziché cogliere l’occasione per dimostrare nei fatti l’empatia verso il bisogno di autonomia di queste vallate.

Insomma, è il momento di farla finita con le meline, con il ricorso alle scuse più fantasiose, ai rimpalli di responsabilità fra Venezia e Roma, alle esibizioni in stile maiestatico di personaggi ancorati probabilmente a vecchie visioni nazionalistiche più che a moderni progetti federalisti.

In qualche modo la stessa rivendicazione autonomistica del Veneto si può inserire in un’ottica ancora ispirata da pulsioni micronazionali, verticistiche, piramidali. Venezia sovrana, depositaria del potere che – forse, un giorno, chissà – potrebbe in qualche misura delegare alla Provincia di Belluno. Però i bellunesi dovrebbero prima dimostrare di meritarsela, di esserne capaci, di saper “camminare con le proprie gambe”, per riprendere le graziose espressioni utilizzate dal presidente veneto. Secondo il quale v’è una certezza: quei tempi non sono maturi, i bellunesi devono attendere ancora.

Anzi, osiamo immaginare che quei tempi si riveleranno assai lontani.
Abbiamo ragione di presumere che pure le future politiche, anche di un Veneto “autonomo” darebbero solo marginalmente risposta alle esigenze delle comunità alpine bellunesi. Ciò, perché quanto più si manterrà distante il giorno della “maturità bellunese”, tanto più Venezia potrà continuare a esercitare con dissimulato spirito neocoloniale il suo controllo sul territorio dolomitico.

Per quanto sia augurabile, sarà assai difficile poter assistere a un’inversione di rotta dopo decenni di relazioni istituzionali e politiche improntate alla subalternità del Bellunese alle politiche decise da Venezia (e Roma) e pensate per contesti metropolitani o di pianura, non certo per la montagna.
Dunque, ben venga la rinnovata richiesta di ripristino dell’elettività del consiglio e del presidente della Provincia, rilanciata ora dal Bard.

Sarebbe già un primo passetto la restituzione ai cittadini un ente provinciale che torni almeno ad avere le prerogative antecedenti alla sciagurata riforma pensata dal ministro Delrio durante il governo Renzi.
Le Province sono un importante snodo della democrazia non è un caso se la loro esistenza (volgarmente maltrattata da recenti governi e legislatori) è sancita dalla Costituzione della Repubblica.

Le Provincia – se correttamente animate – ravvivano la rappresentanza dei cittadini, in un’epoca di crisi del rapporto eletti/elettori, e forti del loro radicamento rappresentano uno strumento essenziale per coordinare politiche coerenti di area vasta, cioè per unire e rafforzare i territori omogenei che cercano soluzioni per affrontare le sfide del presente e del futuro prossimo.
Aver devastato questo ente è stata una follia.
Ora poter ripartire a Belluno da questa rinnovata certezza istituzionale sarebbe fondamentale. Ma con la consapevolezza che una Provincia forte e aperta verso i vicini, specie i territori alpini limitrofi, dovrebbe poi affrontare con determinazione il nodo del rapporto con la Regione Veneto. Che ci fa un territorio alpino impropriamente inserito in una Regione di pianura e di mare attraversata da logiche fortemente metropolitane? Quale speranza di autonomia possono avere le nostre comunità alpine, con i loro 200 mila abitanti in una Regione che ne conta cinque milioni e che – federalista a parole – continua nella prassi a svelare pulsioni microcentraliste?

Un esercizio di ottimismo in questa cornice sarebbe mal riposto.
Sembra ineludibile, piuttosto, riaprire quel cassetto che otto anni fa fu chiuso, non senza polemiche, dalla Cassazione: là dentro giacciono le 19 mila firme e la delibera quasi unanime del consiglio provinciale di allora, per poter chiamare i cittadini a esprimere il loro parere sull’ipotesi di avviare un processo che trasferisca la provincia di Belluno in Trentino Alto Adige.
Ricominciare a parlarne è opportuno e necessario per mettere a fuoco le cause, le origini di molte criticità che affliggono il territorio e per ragionare sulle vie di uscita migliori, a cominciare dal disegno di una governance, di una democrazia provinciale, di quella federazione delle comunità dolomitiche bellunesi che può trovare in un assetto autonomista l’incubatore e il catalizzatore delle buone idee per salvare le nostre vallate oggi in serio pericolo.

Con gli amici trentini e sudtirolesi si potrebbe riflettere insieme e mettere a fuoco via via il percorso di un simile progetto.
Se invece in Trentino Alto Adige continuerà a prevalere l’ostracismo istituzionale verso l’idea di una Regione Dolomiti (che peraltro piace invece a molti cittadini di tutte e tre le province), Belluno dovrà imboccare una strada diversa, capace com’è, in ogni caso, di stare in piedi sulle proprie gambe, contando sulla straordinaria vivacità delle collettività locali.

Si tratterà, a quel punto, di elaborare un percorso di affrancamento dalla subalternità al Veneto, di trovare una via di uscita verso un forte autogoverno che dovrà essere riconosciuto dal legislatore nazionale.
Sarà in ogni caso Roma, non Venezia, a dover finalmente riconoscere il diritto della comunità alpine non ancora autonome a dotarsi di uno status istituzionale differenziato.
Regione Dolomiti o Regione Bellunese che sia, è giunto il momento di mettere le carte in tavola e di spingere con maggior forza ognuno a assumersi le proprie responsabilità politiche.
Sapendo che ne va del destino di intere comunità di montagna, oggi in grave sofferenza.

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A proposito di ripristino dell’elettività della Provincia di Belluno (e delle altre interamente montane), ecco il comunicato diffuso pochi giorni fa dal Bard.

«Il ripristino dell’elettività per le province montane, del quale i rappresentanti leghisti veneti e lombardi hanno discusso nei giorni scorsi a Sondrio, sarebbe un grande risultato per Belluno: è quello che il nostro movimento chiede da anni, con il commissariamento prima e con la legge Delrio poi»: il movimento Belluno Autonoma Regione Dolomiti guarda con interesse alle dichiarazioni dell’assessore regionale Gianpaolo Bottacin, protagonista di un confronto proprio Sondrio sul ritorno delle province montane a ente elettivo con i deputati e colleghi di partito Angela Colmellere e Massimo Sertori (ex Presidente della Provincia di Sondrio) e con Elio Moretti, attuale Presidente della provincia lombarda.

«Il BARD è nato formalmente proprio 7 anni fa, il 12 gennaio 2012, e nello statuto al primo punto delle sue finalità ha messo il mantenimento “di un Ente, unitario, democraticamente eletto, in rappresentanza paritaria ed equa, delle comunità vallive bellunesi”. – ricordano dal direttivo – Era iniziato da pochi mesi il commissariamento dell’ente, e il giorno precedente la Regione Veneto aveva approvato il suo statuto, contenente la specificità della Provincia di Belluno: abbiamo sempre reputato fondamentale la rappresentanza democratica di quest’ente, anche nei periodi nei quali tutte le diverse forze politiche spingevano per la chiusura delle province».

«Abbiamo lottato in tutti i modi per ottenere il ripristino dell’elettività, anche sbagliando dando fiducia a chi ha poi dimostrato di non meritarla, come nel caso dell’accordo alle regionali 2015, quando noi mantenemmo gli accordi, a differenza di altri; – sottolineano dal Bard – lo abbiamo fatto in occasione del referendum costituzionale, che avrebbe definitivamente affossato questa speranza, e anche alle ultime elezioni politiche, quando la maggioranza dei candidati bellunesi ha sottoscritto la nostra richiesta di abrogazione della legge Delrio».

«Il ripristino dell’elettività – concludono dal movimento – sarebbe un primo passo verso una vera autonomia, ed il risarcimento dei gravi danni causati alla nostra terra dalle sciagurate politiche centraliste degli ultimi anni che hanno portato, secondo uno studio elaborato dalla CGIA di Mestre, ad effettuare tagli di risorse maggiori nel Bellunese rispetto al resto del paese. Ora aspettiamo dati e fatti concreti a favore di elettività ed autonomia: siamo il fanalino di coda per crescita economica, demografica e servizi rispetto alle confinanti terre alpine del Trentino, del Sud Tirolo e del Tirolo. Ogni passo concreto verso il ripristino della dignità della nostra terra avrà il nostro sostegno».

BARD – Movimento Belluno Autonoma Regione Dolomiti



Migranti: il decreto Salvini colpisce l’accoglienza intelligente e provocherà problemi nei comuniMigranti: il decreto Salvini colpisce l’accoglienza intelligente e provocherà problemi nei comuni



Il decreto (in)sicurezza per il cambiamento. Perché c’è chi sull’insicurezza “percepita” costruisce facilmente patrimoni politici.
Sul tema immigrazione (impropriamente assimilata dal governo alla questione criminalità) smantellare il sistema di accoglienza e di integrazione sociale diffusa nei comuni (noto con l’acronimo Sprar) per sostituirlo con i casermoni detentivi significherà innescare tensioni di ogni tipo, creare problemi invece di risolverli, gettare persone fragili verso condizioni formali di irregolarità che ostacoleranno l’interazione sociale positiva.
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Il maltempo devastante e la montagna diseredata (anche dai Tg)Il maltempo devastante e la montagna diseredata (anche dai Tg)



Stando a numerosi Tg nazionali trasmessi fra ieri e oggi, sono l’acqua alta a San Marco e gli yacht di Rapallo le immagini simbolo della catastrofe meteo abbattutasi tragicamente su alcune zone d’Italia.
L’impressione è che si fatichi veramente a mettere a fuoco l’idea che a finire veramente in ginocchio (tanto per cambiare) sono le zone di montagna, già largamente abbandonate dalle politiche nazionali (a eccezione di alcune aree con status autonomo e peraltro sempre più nel mirino del neocentralismo che avanza).
È deprimente che i Tg non si concentrino sul filo conduttore drammatico che unisce i territori alpini (per esempio il Bellunese e il Trentino, entrambi devastati da 48 ore in balìa dell’acqua e del vento), che l’informazione non offra all’opinione pubblica un quadro esauriente e unitario di un’emergenza da ricondurre alla più vasta questione montagna.
D’altra parte ricordo pochi anni fa, mentre si preparava la deleteria legge per semidistruggere le Province ordinarie, un ministro che accoglieva come ineluttabile e probabilmente auspicabile lo spopolamento dei paesini di montagna, così scomodi per chi ci vive e per chi deve assicurare loro un minimo vitale di servizi.
In questo Paese (e in Europa pure, salvo poche eccezioni fisiologiche tipo Svizzera e Austria) continua a mancare un discorso serio sullo stato e sulla sofferenza della montagna, sulla necessità di costruire fra l’altro sistemi istituzionali differenziati che consentano agli abitanti decisioni politiche e relativi finanziamenti per assicurare una vita dignitosa fra rocce aspre e strade a rischio.
Reputo, al contrario, altamente probabile che forze politiche di governo possano riproporci discorsi insensati come l’abolizione delle province (fondamentale snodo della democrazia territoriale, già colpito da una riforma folle) e la riduzione sic et simpliciter dei parlamentari (quindi della rappresentanza, naturalmente penalizzando le aree periferiche e meno popolose). La riduzione del numero di deputati e senatori potrebbe avere un senso, certo, ma solo nel quadro di una riforma federale che assicuri il massimo di autogoverno locale e un’articolazione reticolare delle istituzioni che, parallelamente al dimagrimento parlamentare, trasferisca poteri reali da Roma alle periferie.
Forse per vedere un barlume di una simile profondità di pensiero ci vorrebbe per i numerosi eletti metropolitani di governo e di opposizione un annetto di soggiorno montano nei paesi in quota, fra torrenti in piena, vento che soffia, alberi che cadono e viveri che scarseggiano, magari al freddo fra un blackout e l’altro e con le strade interrotte da frane e alluvioni.
Forse.

Autonomie, fondi di confine e quel vizietto centralista a Roma e a VeneziaAutonomie, fondi di confine e quel vizietto centralista a Roma e a Venezia



La legislatura appena avviatasi faticosamente, in uno scenario politico a tratti grottesco, potrebbe forse riaprire il capitolo delle autonomie, compresa quella richiesta da vari decenni dall’area alpina di Belluno (e ribadita nel referendum provinciale dell’ottobre scorso).
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Inquinamento dell’aria e del suolo: le contromisureInquinamento dell’aria e del suolo: le contromisure



Ecco il podcast di Voci dalle Dolomiti​, andato in onda ieri – 27 marzo 2018 – in Fm a Radio Cooperativa: si parla di inquinamento atmosferico e del suolo, con uno sguardo alle nuove misure annunciate dal Comune di Belluno, un’intervista a Giada Pislor sul nuovo regolamento di polizia rurale adottato da molti Comuni (compresi il capoluogo provinciale e Feltre) per vietare i pesticidi pericolosi, un intervento del fisico meteorologo Thierry Robert Luciani (Centro nivometeo Arpav di Arabba) che illustra le caratteristiche microclimatiche delle valli montane (e in particolare della Valbelluna) e il ruolo delle correnti d’aria in rapporto alle emissioni nocive in atmosfera.

Il confine orientale: dalla violenza fascista alle foibe (parte 2)Il confine orientale: dalla violenza fascista alle foibe (parte 2)



Il 13 e il 20 febbraio scorsi Voci dalle Dolomiti ha proposto a Radio Cooperativa la registrazione dell’incontro dibattito svoltosi a Mel (Belluno) sul tema “Il confine orientale: dalla violenza fascista alle foibe”.

L’incontro, come spiegano gli organizzatori (la sezione La Spasema dell’Associazione nazionale partigiani) ha voluto tenere insieme la Giornata della memoria e il Giorno del ricordo, ascoltando lo studioso friulano Dario Mattiussi del Centro Isontino di ricerche storiche.

In questa pagina è disponibile la seconda parte della registrazione, qui invece si può ascoltare la prima, andata in onda la settimana precedente.

Ecco come i promotori hanno presentato l’iniziativa nella pagina Fb della sezione Anpi La Spasema.
«Quest’anno la nostra sezione ANPI “la Spasema” ha scelto di riunire in un unico incontro-dibattito la “Giornata della Memoria” con “la Giornata del Ricordo”.

Ne discuteremo col relatore Dario Mattiussi segretario del Centro Isontino di ricerche storiche “L. Gasparini” il quale ha presentato le nostre prime due mostre sulle problematiche del confine orientale, ovvero le violenze del fascismo italiano sugli slavi, sia con la deportazione di intere famiglie, bambini compresi i quali ci hanno lasciato le loro testimonianze nei temi e nei disegni della nostra prima mostra intitolata “Quando morì mio padre”; sia con violenze di tutti i tipi nei territori jugoslavi occupati, con la seconda mostra “Testa per dente”.

Discuteremo sul fatto che le due giornate siano antitetiche o se siano strettamente collegate. Sono nate in modo antitetico, quasi a voler spiegare la cosiddetta logica degli “opposti estremismi”, ma mentre la “Giornata della Memoria” è storicamente indiscutibile, la “Giornata del Ricordo” ha lacune e imperfezioni dovute spesso più a una logica di propaganda e di inesattezze quando non proprio di invenzioni.

C’è, a nostro avviso, un filo nero che collega i campi di concentramento nazisti con le foibe, ed è il filo nero del fascismo italiano, il quale ha avallato i treni carichi di ebrei e non solo diretti in Germania, ma ha anche costituito molti campi di internamento sia in Italia che in Istria (il più famoso Arbe-Rab) i quali, se non prevedevano la “soluzione finale” come quelli nazisti, erano comunque in condizioni penose tanto che moltissime persone vi morirono.

Da ciò, ma soprattutto dalle violenze che per più di vent’anni i fascisti italiani hanno perpetrato nei confronti della popolazione slava (incendio Narodni Doma Trieste il 13 luglio 1920; l’italianizzazione forzata di lingua e nomi; la proibizione della lingua slava; l’interdizione agli slavi dei pubblici uffici; l’occupazione di loro case e terreni con relativa cacciata; l’occupazione del 6 aprile ’41 senza dichiarazione di guerra (!) con relative fucilazioni sommarie; incendi di case e paesi; stupri, massacri, deportazioni…) ha avuto come logica conseguenza l’odio e il disprezzo degli jugoslavi nei confronti dei fascisti. Di qui le foibe anche se non giustificabili. Ma con numeri molto diversi da quelli propagandati; con due momenti totalmente diversi (dopo l’8 settembre ’43; dopo maggio ’45); col fatto che gli infoibati erano già cadaveri e venivano lì gettati per evitare epidemie; col fatto che pure nazisti e fascisti gettarono slavi nelle foibe.

L’ovvia conclusione è che la responsabilità della tragica vicenda delle foibe non può che ricadere sul fascismo e sulle sue dissennate e razziste politiche nel cosiddetto “confine orientale”. Si pensi che solo nel ’21 “Il popolo di Trieste” definiva gli slavi “degli insetti”; che Mussolini li chiamava “barbari” e ne avrebbe sterminato più di 500.000; che il generale Roatta nel ’42 si lamentava che “qui si ammazza troppo poco!” (in Jugoslavia).

Con queste premesse le conseguenze non potevano che essere tragiche. Ecco perché non ha senso, come invece purtroppo fanno molti (relatori, fiction TV e anche politici di diversi schieramenti…) parlare di foibe senza nemmeno accennare al fascismo italiano, suo principale responsabile».

Il confine orientale: dalla violenza fascista alle foibeIl confine orientale: dalla violenza fascista alle foibe



Il 13 e il 20 febbraio scorsi Voci dalle Dolomiti ha proposto a Radio Cooperativa la registrazione dell’incontro dibattito svoltosi a Mel (Belluno) sul tema “Il confine orientale: dalla violenza fascista alle foibe”.

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Autostrada sulle Dolomiti, un incubo ricorrente in campagna elettorale. Ma sarebbe ora di smetterla…Autostrada sulle Dolomiti, un incubo ricorrente in campagna elettorale. Ma sarebbe ora di smetterla…



Mentre si attendono gli sviluppi concreti del progetto per prolungare la ferrovia dal Cadore alla Pusteria e mentre in tutta Europa l’inverno è segnato anche quest’anno dagli allarmi per l’aria irrespirabile nelle città soffocate dal traffico (diesel e non), in Veneto c’è ancora chi agita in campagna elettorale il mito anacronistico e falso dell’autostrada dentro le Dolomiti (la A27 da allungare dal Bellunese fino in Austria).
Di seguito il comunicato di alcune associazioni che si sono mobilitate di nuovo per ribadire il no a queste visioni proiettate nel passato, che rispolverano progetti antistorici e negativi per il nostro territorio montano.

IL COMUNICATO

Puntualmente, a cicli continui, riemerge, ancora una volta, il leit motiv del prolungamento dell’A27. Ancora una volta riproponendo l’autostrada come la soluzione a tutti i problemi del Bellunese, ancora una volta dietro la spinta di forze economiche con interessi estranei alle comunità di montagna, ancora una volta da parte di forze politiche che nel loro agire non hanno mostrato alcuna attenzione per le difficoltà di chi vive e opera nelle terre alte, ancora una volta, e con più vigore, in campagna elettorale e ancora una volta ipocritamente ignorando che gli accordi internazionali impediscono questo tipo di “sfondamento a nord”.

Per evitare lo spopolamento, le genti di montagna devono poter avere opportunità pari a quelle delle genti di pianura in tema di servizi pubblici, scuola/formazione, sanità (gli abitanti dell’alta valle del Piave devono fare dai 100 ai 270 km per usufruire della maggioranza delle prestazioni erogate dall’ULSS di appartenenza); trasporti pubblici efficienti, assistenza agli anziani, perequazioni per il maggior costo della vita, sostegno per la difesa del suolo (i tre quarti delle aree franose dell’intera regione si trovano nel Bellunese) e nel rispetto dell’incontestabile pregio ambientale (metà del territorio provinciale è classificato Zona di Protezione Speciale e metà delle Dolomiti patrimonio Unesco sono contenute nei confini bellunesi).

Di certo gli abitanti delle terre alte non sentono il bisogno di trasformare le loro strette e fragili valli in un corridoio di traffico su gomma nell’interesse delle lobby del cemento e della finanza ma non certamente di questa provincia e dei territori che dovranno sopportarne le conseguenze. Sentono invece la necessità di avere maggior peso politico a loro tutela, e questo non può dipendere esclusivamente dalla demografia, ma deve tener conto delle specificità della montagna, del suo patrimonio storico e culturale, delle tante sue potenzialità e, non ultimo, della sua importanza come presidio a difesa e protezione della pianura.

L’unità delle popolazioni di queste periferie va posta come obiettivo, per raggiungere una massa contrattuale che sostenga la ricerca di soluzioni alle criticità menzionate e contrasti le ricorrenti iniziative che, come “lo sfondamento a nord”, sono a servizio di interessi estranei che danneggiano e indeboliscono le comunità su cui vengono calate. Occorre cambiare registro o, come affermiamo da anni, occorre muoversi “Per altre strade“.

27 febbraio 2018

Associazioni firmatarie:

CIPRA Italia
Comitato Peraltrestrade Carnia-Cadore
WWF O.A. Terre del Piave	
Mountain Wilderness				
Italia Nostra sezione di Belluno
LIBERA Nomi e Numeri contro le mafie	
Ecoistituto Veneto “Alex Langer”
Gruppo Promotore Parco del Cadore



Violenza nazista e Resistenza bellunese: le testimonianzeViolenza nazista e Resistenza bellunese: le testimonianze



La memoria della Resistenza durante l’occupazione nazista nel Bellunese è al centro della puntata di Voci dalle Dolomiti andata in onda il 23 gennaio 2018 a Radio Cooperativa: in programma letture, testimonianze, interviste, ecco il podcast.

Mondiali di sci e infrastrutture: appello delle associazioniMondiali di sci e infrastrutture: appello delle associazioni



Ecco il podcast di Voci dalle Dolomiti andato in onda a Radio Cooperativa il 16 gennaio 2018.

Fra i temi trattati il dibattito in corso sulle infrastrutture previste in Cadore in vista dei Mondiali di sci 2021 a Cortina d’Ampezzo: alcune associazioni temono che interventi stradali esagerati possano, fra l’altro, accrescere il rischio di creare un corridoio di attraversamento sulle Alpi che richiamerebbe pericolosamente traffico pesante (Tir in cerca di un’alternativa economica all’Autobrennero).

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